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La festa de I fumi della fornace si svolge per quattro giorni alla fine di agosto.
La festa è senza scopo di lucro e sostenuta da donazioni e contributi pubblici.
Il programma prevede ogni anno artisti, poeti e musicisti che offrono spettacoli teatrali, concerti, letture poetiche, mostre personali, collettive e seminari. Nei mesi estivi che precedono si organizzano percorsi didattici, laboratori di teatro e architettura.
Abbiamo chiamato questa festa I fumi della fornace da una diceria che indicava i fumi prodotti dall’ex fornace Smorlesi come la causa dell’eccentricità e delle doti artistiche dei ragazzi e delle ragazze di Valle Cascia, una piccola frazione in provincia di Macerata.
Una favola di stortura che diventa mito di fondazione, secondo battesimo indirizzato contro ogni natura certa. L'intero luogo è investito da questo movimento battesimale mai conciliato con se stesso: una festa come perenne ricominciare.

«Il poeta di fiabe è un veggente dell'avvenire» - Novalis

Obiettivi

La comunità di Valle Cascia conta 400 abitanti e, sebbene così piccola, convive con una fornace abbandonata dal 2012 e diverse problematiche ambientali. Questi i nostri obiettivi:
 

  • I fumi della fornace traggono dall’arte le risorse per attivarsi verso una direzione condivisa, restituendo la dovuta attenzione alle questioni ambientali, e vogliono essere modello per tutte quelle comunità in difficoltà come Valle Cascia; 

  • La festa è occasione di riscoperta poetica del territorio per una riattivazione e risensibilizza-zione di quei luoghi dimenticati - che qui sono invece trasformati in laboratori a cielo aperto;

  • L'arte e la poesia sono strumento necessario per reinventare il senso del luogo in cui viviamo​

«Un’ecosofia di tipo nuovo, pratica e speculativa nello stesso tempo, etico politica ed estetica. […] Nuove pratiche sociali, nuove pratiche estetiche, nuove pratiche di sé nel rapporto con l’altro, con lo straniero, con il diverso» - Félix Guattari, Le tre ecologie

Così, da luogo perdutamente catastrofico, Valle Cascia diviene laboratorio di riedificazione immaginale: un tentativo - in presa reale - di ricostituzione del mondo, e dunque una formula insieme duratura e solubile. Ogni intervento sul territorio è la coltivazione e l'arrovescio dell'etimo di partenza: il parco di querce secolari, la fornace di mattoni, le vecchie fonti in disuso… tutto portato a seconda vita.

I fumi - scaturiti dalla cottura dei mattoni che un tempo producevano plusvalore - oggi sono divenuti fumi favolosi dai quali vogliamo partire per ribaltare la geografia della comunità.

Responsabilità

Favoloso è proprio questo spiegamento di possibilità che aureola le cose, restituendo evidenza a ciò che non riusciva più a mostrarne,  scongiurando l’idea dell’estinzione, fenomeno che tormenta la nostra immaginazione come un miasma. È bene muoversi altrove: produrre insorgenze contro il morire del giorno, abbattere il paravento che separa i diversi tempi, risvegliare quanto si credeva defunto attraverso un’archeologia del possibile, evitando le lusinghe della più facile attualità. Prestare giuramento al mondo non significa infatti sposare una quotidianità straparlata, ma piuttosto lacerare il tessuto del presente affinché il transito delle immagini diventi più agevole.

 

Saper orchestrare le immagini che ci stanno attorno è una disciplina severa, perché ciò che andiamo costruendo per mezzo di esse ha un risvolto effettivo sul mondo.

John Byrom, un poeta inglese del XVIII secolo, ammoniva contro lo scadimento dell’idea dell’immaginazione. Ripartiamo da qui:

«L’immaginazione, benché sembri un’inezia

Gravida di conseguenze, prolifera la sua stessa creazione.

Crediamo che desideri e vagheggiamenti siano un gioco

e così dissipiamo facoltà di gran momento!

Sono taglienti gli strumenti coi quali così ci trastulliamo

E scalcano per noi realtà profonde.»

Ecco la nostra responsabilità. 

 

Occorre inventare la città come manifesto sussultorio, per rompere i programmi da troppo tempo fissati nel cemento. Occorre pensare la casa come "luogo eletto a dimora del proprio nomadismo", cantiere a cielo aperto e viva fornace, affinché tutto sia fatto per bruciare. Occorre disinquinare, anzi spurgare le immagini dall’amianto che le attanaglia (questo il mestiere del poeta-architetto nel Theatrum Mundi). Occorre infine piegare il patto dei divorzi, della separazione tra uomo e ambiente.

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